Tra storia e suggestione
Tra gli anni ’50 e ’70, dalle valli dell’Insubria, i funghi di stagione arrivavano in treno nelle città.
Non c’erano davvero treni dedicati ai funghi, ma in autunno le piccole linee ferroviarie dell’Insubria profumavano di bosco: sui sedili e nei bagagliai si mescolavano persone, ceste e stagionalità. Negli anni del dopoguerra, per molte famiglie delle valli lombarde e ticinesi i funghi erano una risorsa preziosa.
Si raccoglievano all’alba e si portavano a valle a piedi, con i gerli o le ceste di vimini, fino alla stazione più vicina.
Da lì iniziava un altro viaggio: treni carichi di profumo di bosco, diretti ai mercati di Varese, Como, Lecco, Milano e Lugano.
Potevano essere definiti “treni dei funghi”, convogli locali che trasportavano ogni genere di merce stagionale, ma che in autunno diventavano sinonimo di un piccolo commercio montano fatto di fiducia, conoscenza e stagionalità vera.
A Canzo, Duno, Valmadrera, Casorate, ma anche a Domodossola o Luino, i funghi arrivavano così: ancora umidi di rugiada, classificati e venduti a peso.
C’erano intermediari che compravano per ristoranti o botteghe milanesi, ma anche donne che portavano pochi etti “per far quadrare la settimana”.
Ogni valle aveva il suo “treno”: dalla Valganna scendevano verso Varese e Gallarate; dalla Val Vigezzo e Ossola partivano per Novara e Milano; dalla Valsassina i funghi prendevano la linea per Lecco e poi verso la Brianza.
Non c’erano smartphone né app di riconoscimento: solo esperienza, rispetto e orecchio per le storie dei più anziani.
I funghi si conoscevano per nome, odore e consistenza.
Il “micologo” del paese era spesso un contadino che aveva imparato dai padri.
Molti di questi saperi popolari sono poi confluiti nel lavoro delle sezioni locali, come quello che svolge l’Associazione Micologica Bresadola, che a partire dagli anni ’60 ha iniziato a diffondere una cultura scientifica del riconoscimento e della tutela delle specie
Oggi non servono più i treni per portare i funghi in città. Ma serve la stessa attenzione, la stessa pazienza, la stessa meraviglia di chi, settant’anni fa, camminava all’alba con una cesta piena e il profumo del bosco addosso.